Il concetto di propriocezione e il lavoro sul collo del piede sono i segreti per ottenere una flessione che sia funzionale ed estetica e che preservi da infortuni.
Foto 1: scheletro della caviglia e del piede
Il corretto funzionamento biomeccanico del piede è di capitale importanza per i ballerini. Questo è particolarmente vero per chi inizia tardi l’attività, perché si tende frequentemente a non interpretare correttamente l’importante sequenza del processo di tirare le punte. Scoprire la natura scorrevole delle ossa che formano il tallone e il collo del piede, e lo schema di attivazione muscolare che influenza questo movimento, può aiutare i ballerini a capire la sequenza corretta della flessione plantare in scarico, per sviluppare un piede ben articolato e flessibile.
Uno degli scopi dell’allenamento del piede è trovarne il massimo potenziale. Il piede cavo può avere un plenum funzionale, è bello da vedere, ma è un piede che non lavora.
“Bel ballerino, ma quei piedi…” (un membro della giuria durante una competizione) – “Per giudicare un ballerino, tutto quello che hai da fare è guardare come usa i suoi piedi” (Fokine) – “Dal battement tendu puoi vedere tutto” (Balanchine).
Quando un ballerino sente queste frasi, e percepisce di avere un brutto piede, la cosa successiva che farà sarà di mettere i propri piedi sotto un piano, e iniziare a usare ogni muscolo, a partire dall’anca, per cercare di forzarli a “migliorare le punte”. Il risultato sarà invariabilmente lo stesso. A causa di un pattern di attivazione muscolare con un reclutamento prematuro del tricipite surale, la parte anteriore e posteriore del piede sarà costretta in una posizione conflittuale, che causerà blocchi e tensioni. Il piede, invece di migliorare dopo ogni battemént tendu, diventerà più rigido, meno elastico e affaticato. Il piede perderà la sua elasticità, e di conseguenza gli atteggiamenti dopo i salti diverranno impatti che causeranno microtraumi. Una progressione di eccessive richieste a un piede in queste condizioni potrà portare a speroni ossei dolorosi, tendiniti, e altro.
Secondo i danzatori, un piede è giudicato “brutto” se: non si stende abbastanza; non viene sentito come una parte del proprio corpo (quindi c’è un conflitto con il piede); se lo si lavora tanto ma non si ottiene risultato; se il modo in cui viene usato non soddisfa, al di là della forma che ha.
Il piede bello e funzionale del ballerino va costruito: ci vuole fortuna genetica, ma è soprattutto nel lavoro sul piede che è necessario avere ben presente cosa significhi lavorare con la propriocezione.
“Come fa un uomo a mantenere una postura diritta o inclinata contro il vento che soffia contro di lui? È evidente che possiede un senso attraverso il quale conosce l’inclinazione del suo corpo e che possiede la capacità di riaggiustare e correggere tutti gli scarti in rapporto alla verticale” (Charles Bell, 1837).
Con propriocezione si intende l’insieme dei messaggi inviati al sistema nervoso centrale da alcuni sensori che si trovano a livello di cute, muscoli e tendini, coordinati con il lavoro degli occhi e del sistema vestibolare (per un approfondimento di quest’ultimo, si veda la relazione di Rita Valbonesi in Medicina della Danza) e della masticazione e deglutizione. I messaggi propriocettivi riguardano i dati che servono a una persona per capire in che posizione si trova riguardo lo spazio circostante.
Se chiudiamo gli occhi e proviamo a stabilire la posizione delle nostre gambe, delle braccia e della testa, troveremo che si tratta di un compito facile, basato proprio sulla propriocezione. Se ora appoggiamo i piedi sul pavimento, chiudiamo gli occhi per un minuto e, cercando di non muoverci, prestiamo loro attenzione, noteremo che con il passare del tempo perdiamo il “senso” della loro posizione, perché quest’ultimo diventa meno accurato in assenza di movimenti. Tuttavia, non appena riapriremo gli occhi, ritroveremo esattamente il senso di posizione dei piedi. Gli occhi ci aiutano.
C. S. Sherrington coniò alla fine dell’Ottocento il termine “propriocezione” per distinguere dalla esterocezione e dalla interocezione quell’insieme di sensazioni che fanno riconoscere il corpo come proprio. La propriocezione quindi è un sistema fondamentale per riconoscere se stessi, ma non solo come corpo: soprattutto come unità psico-fisica. Queste sensazioni, fuse insieme e coordinate, sono l’origine del cosiddetto sentimento corporeo, per il quale noi conosciamo il nostro corpo e lo distinguiamo da quello degli altri. Il sentimento corporeo rappresenta perciò la base fisiologica della coscienza e della personalità.
Foto 2: il piede è sostenuto da una robusta fascia legamentosa
I propriocettori sono organuli molto sensibili, perché trasmettono informazioni riguardo lo stato di tensione, rilassamento, torsione e velocità di movimento dell’apparato locomotore. Ogni dato inviato da un muscolo, o verso un muscolo, è un dato che viene inviato ai muscoli agonisti (cioè i muscoli che aumentano quel certo tipo di movimento) e agli antagonisti (i muscoli che frenano quel movimento), creando un adattamento continuo del sistema muscolo-tendineo-scheletrico, che va gestito.
Negli ultimi venticinque anni sono nate moltissime tecniche, in quell’area che si situa tra la riabilitazione motoria e la maturazione psicologica della persona, che prevedono esercizi specifici atti a rendere molto più coscienti le persone dello stato del loro fisico, a percepirne più velocemente e con maggiore discriminazione i cambiamenti, a migliorare la percezione dei confini del corpo, ad accorgersi di quando qualche elemento non funziona come dovrebbe e ad associare eventi fisiologici o psicologici a questo malfunzionamento.
Le strategie posturali possono essere determinanti per ottenere ottimi risultati dalle proprie prestazioni atletiche e per imparare a minimizzare i movimenti accessori inutili. Allenare e bilanciare le risposte dei propriocettori può concorrere in modo sostanziale alla buona riuscita di una carriera, soprattutto di una carriera LUNGA, perché la capacità di associare movimento, respiro e piena consapevolezza, protegge dagli infortuni (come le distorsioni recidivanti della caviglia, l’instabilità del ginocchio, le tendiniti, le patologie da sovraccarico funzionale, le lombalgie) e consente di imparare a usare anche muscoli che vanno allenati a parte, e che spesso sono più difficili da percepire.
La qualità del movimento di tutto il corpo (anche in fase aerea), l’economia e la sicurezza dei gesti motori di ogni persona, nascono dal controllo dell’appoggio dell’arto inferiore, dall’azione dei suoi muscoli stabilizzatori e direzionali. La qualità e l’efficacia dei movimenti di un ballerino, impegnato con i muscoli in modo assai sensibile, dipendono in larga misura dalla raffinatezza di gestione dell’appoggio.
Ma quali sono, quindi, i propriocettori, che nel piede assumono questa importanza fondamentale?
I più superficiali sono gli esterocettori cutanei, sensibili al tatto, alla pressione cutanea e alla variazione di stimolo meccanico. Nel piede essi sono dei veri protagonisti: la pianta del piede è ricca di esterocettori di pressione (baropressori) ad alta sensibilità, che forniscono informazioni sulle oscillazioni corporee, e di recettori particolarmente sensibili alla trazione della cute, che quindi informano sulla direzione e sulla velocità del movimento corporeo. La pianta del piede, in posizione eretta, rappresenta l’interfaccia costante tra l’ambiente esterno e l’atteggiamento posturale: infatti, le informazioni dei recettori podalici sono le uniche a derivare direttamente da un riferimento fisso quale è il suolo.
Invece le informazioni sullo stato del muscolo vengono trasmesse al sistema nervoso da due tipi di recettore: l’organo tendineo del Golgi, situato nei tendini, e il fuso neuromuscolare, situato nei muscoli. L’organo tendineo del Golgi rileva le variazioni di tensione del muscolo, che sono trasmesse al tendine. Dai fusi neuromuscolari dipende la possibilità di modulare finemente la risposta muscolare, perché essi registrano le variazioni di lunghezza del muscolo. La memoria corporea, unita allo sviluppo di un’attenzione particolare, può consentirci di imparare ad ascoltare in modo molto raffinato tutti questi percettori sensoriali.
Il lavoro del dottor Lewton Brain è basato su una raffinatissima percezione dei muscoli della gamba e su un’ altrettanta raffinatissima propriocezione del movimento che serve per andare sulle punte: “Un bel piede è quello che sa da dove parte e dove arriva!”, è stata l’affermazione di Peter Lewton. Il punto focale del suo lavoro è rappresentato dalla possibilità di estendere il piede senza utilizzare il muscolo principale del polpaccio; il rilasciamento del tricipite porta a risultati migliori nell’estensione del collo del piede e nella flessione armoniosa della sua pianta.
Se il movimento di allungamento del piede parte dalla contrazione del tricipite surale, il calcagno si alza e va all’indietro, e questo movimento appiattisce la volta plantare, cioè si forma un piede piatto nella parte posteriore dell’arco plantare. Se osserviamo l’anatomia della pianta del piede, notiamo che l’architettura tendinea è formata dai tendini del muscolo peroneo lungo, del peroneo breve, del flessore lungo dell’alluce, del flessore lungo delle dita e del muscolo tibiale posteriore. Se il movimento inizia da questi flessori secondari, aumenta l’arco della volta plantare, conferendo al piede quella caratteristica forma molto ricercata.
Foto 4: loggia posteriore della gamba, da: A. Bairati – Trattato di anatomia umana, vol. IV – Minerva
Osserviamo ora la figura sulla sinistra. I disegni rappresentano la parte posteriore della gamba con il muscolo più superficiale (disegno A) e i muscoli più profondi della gamba con la parte “sotto” del piede, o volta plantare (figura C). Il muscolo rappresentato nella figura A è il tricipite della sura, cioè un muscolo formato da tre capi, cioè i gemelli e il soleo. Il gastrocnemio è diviso nei due muscoli detti i gemelli. Nella figura, il gastrocnemio è tagliato per far vedere il soleo, che si trova sotto ed è piatto. Possiamo percepirlo facilmente mettendo una mano dietro la gamba.
Il tricipite è il muscolo che concorre maggiormente a dare forma al polpaccio e dà origine al tendine di Achille. Questo muscolo esercita una azione potente di trazione verso l’alto del calcagno, per cui determina la flessione plantare del piede. E’ un muscolo molto potente, è proprio quello che normalmente ci permette di sollevare tutto il corpo, mettendoci sulla punta del piede. Ed è quello che è necessario imparare a non utilizzare, se si desidera ottenere una vera flessione dell’arco plantare.
Nella figura C vediamo indicati dai numeri, dall’alto verso il basso, il muscolo tibiale posteriore, il flessore lungo delle dita e il flessore lungo dell’alluce. Si tratta di muscoli sottili e, come è possibile vedere, sono posizionati nella parte centrale e finale di tibia e perone, e si trovano sotto il tricipite, quindi molto più “attaccati” alle ossa. Sono i muscoli che è necessario imparare a distinguere dal tricipite, con un buon lavoro di propriocezione; imparando a muovere questi, si ottiene una flessione del piede di qualità diversa.
Il problema consiste nel “contattare”, da un punto di vista propriocettivo, i flessori secondari, riuscendo a distinguere il loro movimento come libero, svincolato da quello del tricipite. I flessori secondari vengono usati come agonisti del tricipite, ma se possiamo muoverli indipendentemente il risultato è molto importante: si mostrano infatti le reali e sorprendenti possibilità di ogni ballerino. Il tricipite, infatti, fa necessariamente trazione sul calcagno, tramite il tendine di Achille; i flessori secondari non costringono invece il calcagno a salire di posizione, lo lasciano dov’è, semplicemente flettono l’arco plantare.
Il muscolo tibiale posteriore appare sulla superficie della gamba medialmente, appena al di sotto e a fianco del tendine di Achille. Il lavoro da fare è quello di premere (o farselo premere) fino a percepire il tendine, che termina in mezzo alla pianta del piede, un po’ verso il calcagno. Questo muscolo fa portare il piede in dentro e lo torce, oltre a fletterlo.
Il tendine del muscolo flessore lungo delle dita, invece, scorre proprio dentro il malleolo interno e poi striscia medialmente di fianco al calcagno prima di raggiungere le dita. Il muscolo flette la terza falange, cioè la parte finale del dito, con una lieve torsione del piede verso l’interno. Tenendo fermo il tallone e flettendo solo le dita, si ha l’inizio del movimento di questi due primi muscoli.
Il muscolo flessore lungo dell’alluce è in alto laterale, ma scendendo in basso si porta medialmente. Il tendine è affiancato agli altri due, e la sua azione è di flettere autonomamente il primo dito.
Foto 5: loggia laterale della gamba; ibidem
Nella figura sopra, invece, possiamo osservare la posizione degli altri due muscoli che possono aiutare l’estensione del collo del piede: il numero 1 è il muscolo peroneo lungo, il numero 2 è il muscolo peroneo breve. Sono i due muscoli della loggia laterale della gamba. Sono attaccati direttamente alla fibula, o perone.
Il muscolo peroneo lungo ha funzione di abdurre il piede, cioè lo sposta in fuori, e lo torce. Esercita una trazione sulla parte più alta della volta plantare e quindi mantiene la concavità.
Il muscolo peroneo breve ha, in modo parallelo al suo compagno, la stessa azione, specialmente riguardo la dorso-flessione del piede.
Il muscolo soleo alza l’astragalo (l’osso che collega la tibia al calcagno), rendendo cava solo la parte anteriore del piede; se si è en dedans, il ginocchio paga parecchio questo tipo di sforzo. Se invece il movimento per arcuare il piede comincia con i flessori secondari, e solo dopo viene aggiunta l’azione del tricipite, l’astragalo viene “imprigionato”. In questo modo però l’estetica del piede ne risente. Perciò la capacità di estendere il piede senza l’uso del tricipite è desiderabile, sia per ragioni funzionali che estetiche. I ballerini pensano che sia importante il collo del piede, i professionisti invece devono sapere che lo è il piede in generale, specie nel suo contatto con il terreno. E’ necessario imparare a flettere la pianta e rilassarla più volte.
Un esercizio importante e’ quello di flettere il piede con l’uso dei flessori secondari, ma invece di partire flettendo la punta delle dita e via via il resto, in progressione, si parte flettendo prima la punta dei tarsi, lasciando le dita estese verso il dorso del piede. Si procede sempre tenendo fermo il calcagno.
La parte difficile consiste nel riconoscere i muscoli implicati e nel riuscire a muoverli in modo indipendente. Il primo millimetro di movimento è quello importante, perché una volta imparato come si fa a muovere i muscoli giusti, il movimento viene da sé.
Altro esercizio, da ripetere 4-5 volte, mantenendosi sempre seduti sull’ischio, consiste nel flettere le dita, spingendo indietro l’astragalo. Alla fine dell’esercizio, praticare un’estensione forzata del piede (come quando si cerca di combattere un crampo), flettendo la caviglia in su, con l’uso del muscolo tibiale anteriore.
All’osservazione, è chiaro che questi esercizi si avvalgono dell’uso dei flessori per mandare avanti il piede, non si percepisce una spinta sul collo tramite gli estensori. Questa è la differenza fondamentale in questo tipo di tecnica, che consente di mantenere intatte nel tempo le cartilagini di scivolamento delle ossa del collo del piede, mantenendo morbido il piede anche durante i salti, allentando così il pericolo, sempre presente, di fratture di queste piccole ossa, poco protette dall’irrigidimento dei muscoli e dei tendini sbagliati.
“La danza è propriocezione, non lavorare come pazzi”.
Dott.Simeoni Christian
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